Il culto

La devozione verso la Madonna del Pozzo è una delle più importanti nella terra pugliese e in Italia. La Madonna del Pozzo è principale protettrice e patrona di Capurso. A lei è dedicata la “Reale Basilica” costruita nel 1770 e la “Cappella del Pozzo” sita al Piscino nella periferia di Capurso.

Per approfondire:

La Madonna del Pozzo

La devozione per San Giuseppe

Nei giorni di fine Maggio si rinnova per i capursesi un appuntamento irrinunciabile: la festa del Santo Patrono San Giuseppe. Il culto di San Giuseppe è antichissimo anche se prima di lui erano stati eletti altri patroni del paese: S. Bernardino da Siena, S. Sebastiano, S. Rocco, S. Francesco di Paola, S. Pasquale Baylon.

L’origine del culto

Nel marzo 1725, i Procuratori della Cappella di S. Giuseppe commissionarono allo scultore mastro Carlo Cinzio Altieri di Altamura la costruzione di una statua del Santo in legno. E proprio quando a Capurso si stava diffondendo la devozione verso la Madonna del Pozzo, il popolo capursese, il giorno 28 Marzo 1725, in pubblico parlamento e alla presenza del notaio Ottavio Stanziola, chiese all’allora Sindaco del paese di eleggere San Giuseppe quale protettore di Capurso. La statua di Cinzio Altieri è custodita ancora oggi nella chiesa del SS.mo Salvatore, da molti tra l’altro considerata come “la chiesa di San Giuseppe”, ed è la stessa statua che viene portata in processione durante il giorno della festa.

La Chiesa Madre

La “Matrice” dedicata al SS. Salvatore, è la casa di San Giuseppe, patrono di Capurso. Venne realizzata, a metà del Cinquecento, grazie all’intervento della regina Bona Sforza, che aveva acquistato il feudo di Capurso a giugno del 1535.

Venne completata presumibilmente prima del 1556, anno in cui la sovrana polacca tornò a Bari dalla Reggia di Cracovia. “L’altare maggiore fu fatto in pietra nel corso del 1615”, scrive Gino Pastore nel suo ’La storia di Capurso’. Lo stile è romanico-rinascimentale o tardo-rinascimentale, a guardare la slanciata, bellissima torre campanaria. Nel 1831 l’edificio venne letteralmente sconvolto da lavori di ristrutturazione. Al suo interno è conservata la tela conosciuta come “L’altra adultera”, attribuita alla bottega di Paolo Finoglio e copia di “Cristo e l’adultera”, conservata al museo Castromediano di Lecce e realizzata dal noto pittore napoletano-conversanese. Cinque tele di un certo interesse sono state realizzate da Saverio Calò nella prima metà del XIX secolo. Percorrendo l’asse, si attraversa corso Madonna del Pozzo, la via dello shopping e principale arteria del paese. La strada s’allarga per far spazio ai Giardini comunali di piazza Matteotti, all’interno dei quali sorge la Biblioteca D’Addosio, e sfocia nella piazzetta e nel sagrato della basilica mariana.

I festeggiamenti nella tradizione

Dal marzo 1725, ogni anno furono organizzati festeggiamenti pubblici e privati in suo onore. Alla vigilia, alcuni devoti allestivano nelle proprie abitazioni un altare con un grande quadro del Santo e attorno gigli e candele. Ai suoi piedi venivano collocati tre grossi taralli di pane, nel cavo dei quali erano posti: ceci alla cenere, un’arancia e una pagnotta. I taralli simboleggiano le aureole della Sacra Familia, ceci, arancia e pagnotta simboleggiano i doni della terra: legumi, frutta e grano.

Dopo la novena serale nella Chiesa di S. Giuseppe, i benefattori che avevano preparato l’altare in casa, procedevano alla Presa dei Santi, un rito molto diffuso in tutto il Meridione. La Sacra Famiglia era impersonata da un vecchio, una ragazza e un bambino poveri. Ogni benefattore, dopo aver baciato loro mani e piedi, li accoglieva nella propria abitazione dove un sacerdote benediceva l’altare e le ceste piene di pane. In seguito, dopo aver offerto dolcetti e pagnotte ai presenti, metteva al collo dei componenti della Sacra Famiglia i tre pani/aureole e consegnava a ciascuno ceci, arance, pagnotte e farina.

Il culto dal ‘900 a oggi

Fino alla seconda metà del ‘900, uno spettacolo molto popolare era quello dell’albero della cuccagna. Un palo altissimo, eretto in un grande spazio e spalmato di grasso animale e sapone, alla cui cima erano appesi prosciutti, salsicce, caciocavallo, polli. Diverse squadre in competizione tra loro, elaboravano ogni anno strategie per raggiungere la cima del palo e portarsi a casa il goloso bottino.

Oggi la festa come rappresenta un forte momento religioso, un’occasione per riunire la comunità, risvegliare il legame con le proprie origini e vestire delle luci e dei colori dei fuochi d’artificio e delle luminarie, e del suono folcloristico dei concerti bandistici e della folla in festa.

Fonte: “La storia di Capurso – Le leggende, le cronache, il folclore” di Gino Pastore

Pagina aggiornata il 24/09/2019